Questa riflessione trae spunto dalle frasi, in esito alla terza e ‘pietosa’ (D’Alia dixit) finanziaria dell’anno, rilasciate dal presidente della Regione al quale non importerebbe la maggioranza parlamentare poiché “la maggioranza l’hanno determinata i cittadini con il voto”.
Queste affermazioni da commedia dell’assurdo istituzionale descrivono, purtroppo drammaticamente, lo scenario politico che dovrebbe affrontare la terribile crisi economico-sociale nella quale si trova la Sicilia ed impongono, tuttavia, di individuare via d’uscita.
In un modello politico sostanzialmente bipolare com’era quello che accompagno’ la riforma costituzionale del 2001 anche nello statuto siciliano (l.cost. 2/2001) fu introdotto il sistema elettorale che prevedeva il mix di elezione diretta del presidente ad un turno ed un premio di maggioranza mediante il c.d. “listino” (la lista dei candidati eletti direttamente col Presidente della Regione).
Il modello avrebbe consentito che anche un soggetto con un consenso minoritario (l’autore delle affermazioni lo ha eletto circa il 13% degli elettori siciliani ed il 30,5% dei votanti, i sondaggi sul gradimento dei presidenti delle regioni dicono il resto) avrebbe potuto ottenere l’indispensabile maggioranza parlamentare (54 deputati) e la governabilità.
Si la governabilità, quell’elemento essenziale che oggi manca e che rende la Sicilia allo sbando istituzionale e finanziario, aggravato dall’inadeguatezza di una compagine che forze politiche (PD-UDC), Confindustria-Sicilia ed un pezzo di sindacato sostengono più o meno formalmente.
In altre parole, anche un presidente minoritario, ma pur sempre più votato dagli elettori, grazie al correttivo del listino avrebbe ottenuto un premio di maggioranza.
Sarebbero così state contemperate la governabilità e la dialettica parlamentare.
Cosa e’ accaduto invece? Per un verso, il listino e’ stato dimezzato (da 18 a 9, compreso il Presidente, l.r. 7/2005, scendendo così dal 20 al 10% dell’ARS ) rendendo meno incisivo il correttivo del premio di maggioranza.
E’ utile ricordare che tale correttivo nelle tre precedenti legislature non ha mai assunto una valenza determinante poiché i presidenti eletti avevano comunque ottenuto una maggioranza solida.
Quando il listino e’ stato però chiamato a svolgere per la prima volta la sua funzione di ‘valore aggiunto’, con le elezioni del 2012, il dimezzamento del correttivo ha invece mostrato i propri limiti, non riuscendo a garantire la governabilità.
Di fronte alla situazione piuttosto che allargare la maggioranza sulla base di una proposta programmatica ampia, peraltro giustificata dalla drammatica crisi economica, si e’ preferito prontamente ‘recuperare’ sotterraneamente, attraverso la ‘transumanza’ di nuovi deputati arruolati nelle file del governatore eletto.
Il trasformismo, ma nei peggiori casi anche lo scambio e la trattativa col singolo parlamentare, hanno preso il posto della lealtà verso gli elettori ed il rispetto degli schieramenti politici pur di fornire truppe parlamentari ad un governo privo di maggioranza.
L’aggregazione di transfughi e voltagabbana – lo dimostrano le cronache – irrigidisce però i rapporti tra il presidente eletto e la maggioranza che lo ha sostenuto originariamente, pregiudicando proprio la governabilità che avrebbe voluto surrettiziamente conseguire.
E questa miscela paralizzante è aggravata da un micidiale deterrente, che ne aggrava la degenerazione: la circostanza che alla prossima legislatura il numero dei deputati sarà ridotto di 20 unità (l. Cost. n.2/2013).
Si determina così una ‘conventio ad includendum’ – analoga a quella convenzione tacita (ad escludendum) nei confronti del PCI che ha bloccato il Paese per decenni – che aggrega un pastone ove si raccolgono spinte e controspinte legate dall’unico anelito alla sopravvivenza della legislatura e per la forza attrattiva della gestione amministrativa del Presidente della Regione e dei benefici elettorali che ne derivano (declinati da F. Musella, ‘Governi monocratici, la svolta presidenziale nelle regioni italiane’, Mulino, 2009).
Una forma di governo ‘tutti dentro’, ben oltre quella definizione “neo-parlamentare” che fu data dopo il 2001, alla quale non sfuggono neanche pezzi di opposizione pronti al soccorso nel momento in cui il Presidente decidesse di rompere con la maggioranza che lo ha eletto.
Unico collante di tale ingestibile conglomerato politico e’ il potere del presidente di provocare con le proprie dimissioni lo svolgimento dell’Ars, di fronte all’improbabile approvazione di una mozione di sfiducia con analoghi effetti sul Parlamento, e questo produce solo attivismo improduttivo.
L’art.10 dello Statuto prevede, infatti, da un lato che “L’Assemblea regionale può approvare a maggioranza assoluta dei suoi componenti una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione presentata da almeno un quinto dei suoi componenti e messa in discussione dopo almeno tre giorni dalla sua presentazione. Ove la mozione venga approvata, si procede, entro i successivi tre mesi, alla nuova e contestuale elezione dell’Assemblea e del Presidente della Regione”, mentre al successivo comma (regola del “simul stabunt, simul cadent”) dispone poi che “in caso di dimissioni, di rimozione, di impedimento permanente o di morte del Presidente della Regione, si procede alla nuova e contestuale elezione dell’Assemblea regionale e del Presidente della Regione entro i successivi tre mesi”.
Una proposta allora, risultando assai difficile ricorrere a forme di commissariamento (non tanto poiché non ve ne siano i presupposti, ma in quanto difficilmente praticabile sul piano politico- istituzionale da un governo nazionale dello stesso colore politico di quello regionale). Si approfitti della discussione in Parlamento della riforma costituzionale modificando anche lo statuto ed approntando una soluzione istituzionale.
Per superare la patologica ‘conventio ad includendum’ determinata dalla prospettiva della riduzione dei deputati per la prossima legislatura, e dagli altri elementi di blocco evidenziati, si preveda che, per una sola volta in questa legislatura, sia possibile provvedere alla mozione di sfiducia costruttiva nei confronti del Presidente della Regione con elezione del successore sino allo scioglimento del Parlamento.
La mozione di sfiducia costruttiva va firmata dalla maggioranza dei deputati e deve indicare il Presidente da eleggere e la composizione della giunta. In termini ipotetici potrebbe addirittura accadere che anche l’attuale presidente possa godere del meccanismo insieme alla giunta (nel qual caso la sfiducia riguarderebbe solo quest’ultima); tuttavia, a qualsiasi presidente così eletto sino alla fine della legislatura sarebbe garantita una maggioranza trasparente costruita su un programma definito.
Vero e’, lo ha sostenuto Agatino Cariola, che gli art. 3 e 9 dello Statuto hanno rimesso alle leggi statutarie regionali la scelta della forma di governo, ma questa soluzione sarebbe transitoria e comunque finalizzata a garantire il passaggio alla nuova composizione dell’Ars senza condurre alla paralisi, scongiurando il commissariamento. In questo senso pur assomigliando ad una proposta formulata nella precedente legislatura (sulla quale si vedano le valutazioni di A. Saitta, ‘Sicilia: la maggioranza litiga? Il Presidente fa le bizze? Ed io ti modifico lo Statuto!’ in www.formucostituzionale.it), se ne differenzia poiché si colloca in un obiettivo contesto di eccezionalità e specificità siciliana.
I dati economici di Fondazione Curella e Svimez, laddove ve ne fosse ulteriore necessità, dimostrano che per la Sicilia non c’è più tempo.
Occorre realisticamente ed evitando il più traumatico commissariamento della Regione giungere ad un governo regionale che concluda la legislatura sulla base di un chiaro programma di riforme e di una solida maggioranza parlamentare.
Per la successiva legislatura si deve poi prevedere, nella più che probabile evenienza che il sistema politico tripolare che sembra emergere porti a replicare la situazione attuale e questa volta con legge regionale: il ripristino del listino a 18 o un sistema di elezione a doppio turno analogo a quello dei sindaci con premio di maggioranza.
Un modello istituzionale degenerato come quello descritto crea, al di la’ dell’adeguatezza dei protagonisti, le condizioni per pericolose situazioni di stallo alle quali occorre urgentemente porre rimedio.
La politica, tutta, si assuma la responsabilità del destino di 5 milioni di siciliani oggi diretti verso il baratro dalla sua incapacità di offrire soluzioni alla crisi.