di Gaetano Armao
Vicepresidente della Regione siciliana,
docente di diritto regionale nell’Università di Palermo
Il sessantesimo anniversario della morte di don Luigi Sturzo (Caltagirone 26 novembre 1871- Roma 8 agosto 1959) giunge mentre nel nostro Paese é in pieno svolgimento il crescente dibattito sul regionalismo differenziato e la sua compatibilità con divario economico-sociale tra Nord e Sud.
Rileggere il legato culturale di questo straordinario statista, politico, giurista e sociologo, per lungo tempo alla guida dell’impegno in politica dei cattolici italiani, ma anche Padre dell’autonomia siciliana, della quale accompagnò con attenzione la controversa istituzione e poi le prime legislature, consente di rilevarne la straordinaria attualità, ma anche i moniti opportuni per i governanti di ieri e di oggi.
Sturzo, sin dall’impegno civico come amministratore locale nella sua Caltagirone poi alla guida del PPI, successivamente nel più che ventennale esilio cui lo costrinse il fascismo tra Londra e New York, ed infine dal 1946 a fianco della nascente Repubblica, ha sempre ribadito lo stringente collegamento che vi é tra autogoverno e riscatto dei territori a sviluppo ritardato.
Sul piano della necessità di garantire l’imprescindibile coesione economica e sociale al Paese (superando “il depauperamento del Mezzogiorno”) va ricordato lo scritto del 9 novembre del 1947,che ricalcava la proposta politica per il Meridione avanzata nel celebre discorso di Napoli del 18 gennaio 1923 (Il Mezzogiorno e la politica italiana. Il programma del risorgimento italiano).
Sturzo, nell’individuare puntualmente le condizioni per una rinascita del Mezzogiorno e della Sicilia, per un verso proponeva di dare maggiore consistenza economica alle regioni e procedere verso una progressiva articolazione federale dello Stato, in modo che “le giunte regionali concorrano con il governo centrale a ristabilire il necessario equilibrio economico fiscale già alterato a danno del Mezzogiorno”. Per altro verso richiamava la necessità di educare allo spirito d’iniziativa e d’imprenditorialità, affinché il Mezzogiorno fosse restituito ai meridionali e fossero loro gli attori del suo risorgimento: «Lasciate che noi del Meridione possiamo amministraci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali ;… non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata del Nord; e uniti nell’affetto di fratelli e nell’unità di regime, non nella uniformità dell’amministrazione, seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell’esplicazione della nostra vita».
Da appassionato regionalista, si batté per la nascita della Regione siciliana, convinto come era che solo l’autogoverno avrebbe potuto offrire alla Sicilia una possibilità di riscatto e di progresso. E quando lo Statuto approvato dalla Consulta a Palermo, dovette affrontare le difficoltà dell’approvazione da parte dello Stato il suo intervento sul Presidente del Consiglio dei ministri A. De Gasperi, fu determinante, superando le perplessità che ministri come L. Einaudi (che da Presidente della Repubblica lo nominerà senatore a vita nel 1952), i quali ritenevano eccessiva l’autonomia finanziaria garantita alla Sicilia.
Il contributo di Sturzo al consolidamento dell’autonomia siciliana si svolse, altresì, nel contesto dell’Alta Corte alla quale fu chiamato nel 1950. Istituzione di garanzia prevista dallo Statuto che – come noto – qualche hanno più tardi, sarà “sepolta viva” (per ricordare l’espressione di Giuseppe Alessi, uno dei suoi principali collaboratori e primo Presidente della Regione) dalla Corte costituzionale.
Recano la firma del giudice-relatore Sturzo ben 12 pronunce nelle quali emerge lo spessore del giurista, attento ai principi fondamentali dell’ordinamento, equilibrato nelle pronunce anche quando si trattava di precludere fughe in avanti del legislatore siciliano (si pensi alla pretesa di introdurre per i parlamentari regionali l’istituto dell’immunità, sent. n. 31 del 1951), le eccessive ingerenze dello Stato (basti ricordare la dichiarata incostituzionalità della normativa statale che subordinava l’istituzione di un punto franco nel porto di Messina, sent. n. 48 del 1951), ma anche di riconoscere il legittimo esercizio delle prerogative regionali in materia di esenzioni fiscali per le attività armatoriali in Sicilia (sent. n. 57 del 1953). Di rilievo anche i suoi studi giuridici come il saggio sulla questione, invero ancora assai attuale, del recepimento delle leggi dello Stato nell’ordinamento regionale pubblicato, nel 1951, su “Il diritto pubblico della Regione siciliana”.
Sturzo aveva già individuato «le tre male bestie» che affliggevano (allora ed affliggono ancora) la nostra democrazia: la partitocrazia, il centralismo statale e lo sperpero del denaro pubblico) e con il suo ultimo “appello ai siciliani”, pubblicato il 24 marzo 1959, qualche mese prima della dipartita, rivolse un monito rigoroso nei confronti delle derive clientelari della Regione Siciliana: “costino quel che costino, la Regione invece di tenere due o tre mila impiegati più o meno senza titolo nei vari dicasteri ed enti, che ha il piacere di creare a getto continuo, ne tenga solo mille; ma contribuisca ad avere mille tecnici, capi azienda specializzati, professori eminenti, esperti di prim’ordine. Solo così la Regione vincerebbe la battaglia per oggi e per l’avvenire; sarebbe così benedetta l’autonomia da noi vecchi e dai giovani; i quali ultimi invece di chiedere un posticino nelle banche o fra le guardie carcerarie, sarebbero i ricercati delle imprese industriali agricole e commerciali nazionali ed estere”.
L’autonomia, quindi non come bene in sè, o peggio ancora strumento per le classi politiche, ma opportunità per contribuire al progresso dei cittadini, all’innovazione istituzionale, alla crescita economica, al riscatto dal bisogno e dal disagio.
Queste brevi considerazioni confermano quanto Sturzo, a sessant’anni dalla scomparsa, debba esser ancora considerato un riferimento per la Sicilia ed i siciliani, sia per la legittima pretesa di interventi di coesione e riequilibrio per un Paese ancora diviso, che spinte centrifughe rischiano di ostacolare, che per il corretto funzionamento delle istituzioni autonomistiche per il quale i siciliani debbono profondere il massimo sforzo.