1. La situazione economica siciliana manifesta, pur in un contesto congiunturale assai difficile, sopratutto a livello continentale, una prima reazione del sistema economico, lieve ma significativa perché viene dopo la pesante crisi del 2009; si innesca una lieve inversione di tendenza, con una moderata ripresa dell’attività produttiva (industria, turismo, agricoltura, ma anche infrastrutture) e delle esportazioni interrompe il lungo trend negativo.
Buona parte degli indicatori di settore evidenziano, dopo periodi più o meno lunghi con risultati costantemente negativi, i primi segnali di ripresa anche se si assiste ancora ad un calo dell’occupazione, ad una devastante crescita del numero di giovani che non studiano ne’ lavorano ed alla profonda crisi del settore delle costruzioni.
Il Documento di programmazione economica e finanziaria regionale , com’e’ noto, e’ elaborato ai sensi dell’art. 2 della legge regionale 27 aprile 1999 e successive modifiche ed integrazioni, viene presentato entro il termine novellato, imposto dalla nuova scansione temporale dei documenti finanziari sancita dalla riforma statale della contabilità pubblica (legge …..).
Si trattasi un impianto di regole di contabilità pubblica profondamente modificato rispetto al previgente regime al quale occorre tempestivamente far seguire la riforma del sistema regionale di contabilità e finanza.
Il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo nell’aprile del 2011 ha approvato il ‘Patto per l’Euro – Un coordinamento più stretto delle politiche economiche per la competitività e la convergenza’, imponendo all’Unione un livello di coordinamento delle politiche economiche ben oltre il mercato comune e la moneta unica, nella prospettiva di inverare una vera integrazione della dimensione economica nella prospettiva politica federale. Si tratta di una decisione volta a mutare profondamente non solo la struttura costituzionale europea, ma anche quella degli Stati membri, sopratutto in correlazione alla crisi dei debiti sovrani ed alle conseguenti determinazioni che sono chiamati ad assumere gli Stati membri per assicurare la stabilita’ economica lungo la direttrice della progressiva concatenazione delle scelte di politica economica dei 27 Stati membri e la sostanziale riconducibilita’ ad una condivisa matrice europea.
In questa cornice si iscrive il Documento di economia e finanza 2011 (nella sua articolazione (i) la prima, contenente il Programma di stabilità; (ii) la seconda, contenente: Analisi e tendenze della finanza pubblica; (iii) la terza, contenente il Programma nazionale di riforma) presentato dal Governo ed approvato dal Parlamento nazionale, ed in relazione ad esso, pur a legislazione invariata, deve muoversi l’ordinamento regionale siciliano.
Entro l’estate sarà presentato il disegno di legge regionale di riforma della materia al quale sta lavorando una commissione di studio.
2. Per il rilancio del sistema Sicilia occorre con decisione puntare sulle 4 direttrici dello sviluppo: mercato, investimenti, legalità e lavoro (Mill), un acronimo che evoca il grande economista liberale (J Stuart Mill) e costituisce la base per l’unica agenda politica che può assicurare la crescita alla Sicilia.
Sostegno alle imprese, attraverso l’apertura al mercato: il settore privato e’ l’unico che nei prossimi anni potrà garantire la domanda di lavoro, riducendo progressivamente la sfera pubblica regionale, che per troppo tempo ha fatto concorrenza alle imprese, e sostenendo gli investimenti produttivi e per l’occupazione, sia attraverso forme di incentivazione quali il credito d’imposta e la fiscalità di vantaggio, che attraverso forme innovative di agevolazione nell’accesso al credito (rafforzamento patrimoniale di imprese e consorzi fidi, riordino del credito agevolato per le pmi). In questo senso sono i fortemente correlate le politiche attive per il lavoro (a partire dalla riforma della formazione e dell’apprendistato) e la tutela della legalità. La legalità rappresenta una leva imprescindibile per lo sviluppo. Occorre rendere la lotta alla mafia ed al racket non solo una scelta ideale e di valore civile, ma anche un’opzione di convenienza economica. Coloro che sono conniventi o preferiscono tacere vengano messi in condizione di scegliere se far parte di una comunità economica competitiva o restare esclusi protetti solo dal malaffare. Chi non sceglie chiaramente non potrà accedere a benefici, ottenere provvidenze ed autorizzazioni.
Tuttavia, per il rilancio dell’economia siciliana, occorre anche un’amministrazione regionale efficiente, credibile, che sostenga lo sforzo di crescita di imprese e famiglie. Alcune misure di recupero, come la riforma amministrativa, la riorganizzazione degli assessorati, la decisa riduzione delle società regionali, il recupero del deficit e la riforma della sanita’, il riordino del settore dei rifiuti e di quello degli appalti, hanno trovato prima attuazione.
Ma il confronto più impegnativo e’ quello nell’arena del federalismo fiscale.
Senza conti e carte in regola in grado di assicurarle un deciso recupero di credibilità, la Sicilia non può negoziare un federalismo equo e solidale, ed ottenere le necessarie misure concrete di perequazione fiscale ed infrastrutturale, ma questo impone l’abbandono di pratiche ormai insostenibili di clientela da finanziare con la ‘questua romana’, tentazione difficile da estirpare tra le classi dirigenti del Mezzogiorno.
Per questo si e’ intrapreso, ma si tratta solo dei primi passi, il percorso del risanamento finanziario. Il bilancio regionale 2011 e’ il primo che nel decennio non incrementa le spese rispetto alla proposta della Giunta e che, a valori costanti (al netto dell’inflazione), porta le stesse a livelli del 2001. Mentre gli investimenti, paragonati alla stessa base, raggiungono nel 2011 un valore quasi doppio.
Le norme finanziarie dello Statuto siciliano sono rimaste in buona parte inattuate a causa delle resistenze dello Stato e dell’inettitudine di molti amministratori che hanno prediletto, e continuano a prediligere, convenienze personali o di partito. Abbiamo cosi’ dovuto attendere il federalismo fiscale per poter vedere queste norme pienamente attuate. Ma non si può abbassare la guardia sulla richiesta di misure perequative necessarie sul piano fiscale ed infrastrutturale cosi’ come si e’ fatto richiedendo il riequilibrio, riuscendoci, di molte norme applicative contenute nella versione originaria dei decreti attuativi che puntavano ad azzerare la specialita’ siciliana.
Per la crescita economica l’unica soluzione da percorrere e’ quella degli investimenti produttivi. In questo senso il blocco del credito d’imposta determinato da Roma, per il quale eravamo pronti a partire già da tempo, sara’ superato con risorse regionali. Mentre, come contestato anche dalla Commissione europea, latitano gli investimenti statali per infrastrutture, circostanza aggravata dai ritardi di erogazione dei Fas e dalla contrazione delle risorse destinate al Mezzogiorno a partire dal c.d. piano per il Sud.
Il divario tra Nord e sud si e’ fortemente appesantito in 150 anni di Unita’ d’Italia. Avanza un federalismo fiscale con ancora con troppe ombre i cui effetti rischiano di far deflagrare il Paese. E’ necessaria una forte coesione tra le classi dirigenti del mezzogiorno, ed in particolare siciliane, al di la’ e prima delle divisioni politiche. Solo così si possono difendere le aspettative di crescita dei siciliani, avviando decisi percorsi di innovazione con scelte strategiche che affrontino i nodi di un’ormai insostenibile ritardo.
Occorre che le classi dirigenti siciliane, e non solo quella politica, recuperino lo spirito e la coesione che animo’ la stagione dello Statuto, con la determinazione e la fiducia nella capacita dei siciliani di rispondere alle difficoltà.
3. Come detto questa legislatura lascia intravedere un’inequivocabile inversione di tendenza. La riforma dell’amministrazione regionale introduce, per la prima volta, con una profonda riorganizzazione delle strutture, la contrazione degli organici e degli apparati, la quantificazione della pianta organica, l’istituzione del fondo pensioni, accompagnata dalla riforma delle procedure amministrative e l’applicazione della digitalizzazione della p.a.
E poi: una profonda riforma della Sanità che consente di rispettare il piano di rientro e di ridurre al minimo la crescita della spesa sanitaria, la riforma del settore dei rifiuti, dove le sole società costituite all’inizio degli anni 2000 hanno determinato un deficit di oltre un miliardo di euro, oltre ai disagi creati dalle disfunzioni nella raccolta e nel conferimento in discarica dei rifiuti.
Il risanamento e le riforme delineano un percorso ineludibile per la Sicilia se essa vuol presentarsi, con i conti e le carte in regola, al passaggio del ripensamento della sua autonomia imposto dal federalismo fiscale.
Quale sarà l’effettivo assetto della nostra Repubblica al termine del percorso del riordino delle competenze tra i diversi livelli istituzionali e del c.d. federalismo fiscale – tuttavia – non può non essere pienamente previsto ed analizzato.
Sarebbe un salto nel buio che non può permettersi l’Italia nel tempo della competizione globale, e che men che meno possono permettersi i siciliani, costretti da una pesante crisi congiunturale aggravata da un contesto economico debole che mai ha raggiunto i livelli medi di crescita del Paese.
Il Capo dello Stato ha sottolineato in più occasioni (da ultimo nel mirabile discorso tenuto a Marsala l’11 marzo 2010, in occasione della celebrazione dei 150 anni dello sbarco dei Mille) come i principi fissati dall’art.119 della Costituzione esigano un impegno forte e rinnovato di tutti i livelli di governo della Repubblica e di quanti operano nel sistema economico e sociale; occorre, infatti, garantire le condizioni necessarie per una crescita equilibrata e solidale dell’intero Paese, assicurando, in particolare, ai cittadini le prestazioni necessarie al pieno e uniforme godimento dei diritti civili e sociali sanciti dalla Costituzione.
C’è quindi una nuova sfida con la quale l’Autonomia siciliana deve confrontarsi: il c.d. Federalismo fiscale che ha assunto la connotazione di scelta ormai irretrattabile; in tal senso le forze politiche, ma ancor prima la gran parte degli italiani, ne hanno piena consapevolezza; pur non potendosi dimentica che lo Statuto siciliano, del federalismo fiscale, e’ l’indiscusso paradigma.
Il federalismo fiscale, così come delineato dalla legge n. 42 del 2009, appare equilibrato. Tuttavia, i provvedimenti normativi attutivi devono basarsi su previsioni quali-quantitative precise, muoversi sulle due gambe della perequazione fiscale e di quella infrastrutturale, tenere in conto l’esigenza di differenziazione, di gradualità, di proporzionalità, riuscendo a rendere tracciabili inefficienze e disfunzioni gestionali.
Appare chiaramente ancorato a quei principi di solidarietà ed equità senza i quali l’approdo sarebbe devastante per molte aree italiane.
Questa è la partita cruciale per un Paese che deve trovare un nuovo slancio per non perdere la competizione internazionale e correre con il pesante fardello del terzo debito pubblico del mondo, ma lo e’, sopratutto, per la classe dirigente del sud.
Non smettiamo di credere che il federalismo fiscale possa svolgere una funzione aggregante, e così potrà essere solo realizzando su di esso ampie ed articolate convergenze, ma è chiaro che una sua declinazione disaggregativa potrebbe appagare l’esigenza di qualche forza politica che “scalda i motori” per incassare effimeri risultati elettorali, ma avrebbe effetti paralizzanti non solo sulle istituzioni, ma anche sul sistema economico dell’intero Paese.
C’è un patrimonio straordinario da non disperdere: l’unità della Nazione.
La ricorrenza dei 150 dell’Unità d’Italia giunge opportuna per ripensare a quel percorso che – non senza contraddizioni ed ombre – è stato costruito sui valori, sulle idee e sul sacrificio di tanti che cittadini italiani non poterono divenire mai. Ma è anche un grande patrimonio economico in quanto offre all’imprenditoria del nostro Paese la cifra di una dimensione nel contempo di competitore internazionale e di mercato interno che può garantire di agganciare la crescita.
Sul complesso percorso di realizzazione del federalismo – “senza far saltare il banco” e mantenendo unito il Paese – si abbatte la retorica del deteriorato confronto tra le forze politiche. Le cronache istituzionali dimostrano che il peggior modo di fare le riforme è quello di realizzarle in un clima deteriorato, dove i costi di transazione partitica inquinano il confronto politico.
E così è avvenuto che il clima che doveva favorire la nascita del nuovo assetto si sia già avvelenato: il federalismo fiscale municipale non registra l’adesione degli enti locali e regionali ed andrà incontro a sicure reazioni in Corte costituzionale; quello regionale, ha dovuto recepire (sopratutto su spinta di Sicilia e Sardegna) il regime differenziato delle regioni speciali che allungherà notevolmente i tempi se non offrirà i necessari riequilibri, ma sopratutto prescinde dal considerare adeguatamente la perequazione infrastrutturale.
Senza una perequazione infrastrutturale delineata negli obiettivi e con risorse programmate non si potrà conseguire un federalismo equo e solidale.
La perequazione infrastrutturale è imprescindibile, come quella fiscale, per rendere possibile il federalismo fiscale in termini aggreganti e competitivi. Il federalismo va però preso sul serio, e su questo il confronto potrà essere costruttivo, le scorciatoie, invece, ne costituiranno le premesse del fallimento.
Occorre, tuttavia, che questi obiettivi siano tradotti in adeguati impegni e misure finanziarie di perequazione infrastrutturale i cui livelli ancora oggi sono del tutto insoddisfacenti.
I cittadini del mezzogiorno, e’ ormai noto, sono italiani al 70%: hanno un reddito inferiore del 30% di quello medio nazionale e fruiscono di una dotazione infrastrutturale (porti, strade, ferrovie, aeroporti) inferiore in pari dimensione.
Occorre porre basi serie per superare davvero un divario, mai colmato nei 150 anni di unità d’Italia, che, altrimenti, col federalismo fiscale, diventerà incolmabile.
Quello statuto, ancora vitale in molte parti, che Sturzo salutò nel momento della sua entrata in vigore quale baluardo al ‘depauperamento’ perpetrato contro gli interessi dei siciliani, ma che vide tradito ben presto da pratiche emulative delle peggiori patologie della ‘partitocrazia’ che si era impadronita dello Stato centrale.
Restano tuttavia impregiudicate le ragioni politiche ed economiche che, nei secoli, hanno spinto i siciliani a richiedere istituzioni autonome, anche se in uno scenario completamente mutato.
La Sicilia deve, quindi, ripensare lo statuto autonomistico nella prospettiva del federalismo anche fiscale, e delle sue conseguenze non solo economiche, partendo dalla piena attuazione delle prerogative in materia finanziaria, ma anche collocarsi nel contesto della fase ascendente e discendente del processo regolativo comunitario e, sopratutto, aprirsi alla prospettiva mediterranea, di quel «cuore del Vecchio Mondo» (così come lo ha definito Braudel) di cui non solo e’ millenaria protagonista. Anche se questo le impone, oggi, un nuovo ruolo strategico, coerente con la sua cultura costituta da identità plurali, se non vuole ridursi soltanto ad ultima propagine d’Europa, frontiera permeabile di crescenti migrazioni di uomini e donne alla ricerca di una speranza di sopravvivenza.
16 ottobre 2013