Riceviamo e pubblichiamo la lettera del vicepresidente della Regione.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera del vicepresidente della Regione siciliana, Gaetano Armao.
So di essere (ancora una volta) controcorrente, ma occorre superare le fakenews per guardare al merito di quel che accade nel nostro singolare Paese con riguardo ai rapporti con l’Europa. Vi prego, quindi, di sospendere il Vostro giudizio sino al termine della breve riflessione che segue.
Questa è la trascrizione integrale dell’intervento del Presidente della Commissione UE Jean Claude Juncker.
“Sono profondamente innamorato dell’Italia. Di quello che succede però nel Mezzogiorno, nelle regioni povere d’Italia, NON può essere accusata l’Unione europea. È l’Italia ad dover prendersi cura delle regioni più povere, che hanno bisogno di più lavoro, meno corruzione e più serietà. Noi li aiuteremo, come abbiamo sempre fatto. Ma per piacere non facciamo questo gioco ad incolpare gli altri. Una nazione è una nazione, e viene prima di ogni cosa”.
1) È vero, infatti, che lo Stato italiano non realizza investimenti adeguati per superare il divario, in violazione dei principi costituzionali, ed utilizza i fondi europei in funzione sostitutiva rispetto a quel che dovrebbe fare;
2) ciò viola la natura addizionale dei fondi europei che così non riescono a conseguire gli obiettivi di coesione realizzando risultati insoddisfacenti negli ultimi anni;
3) è scorretto che alcuni politici antieuropei si aggrappino al riferimento alla corruzione (fenomeno che – come opportunamente osservato dagli stessi – riguarda tutti i Paesi europei) per eludere le omissioni dello Stato verso il Sud e la Sicilia, e disconoscere le violazioni dei doveri di coesione e solidarietà;
4) è poi ancora più scorretto scaricare sull’UE le inerzie e le contraddizioni di uno Stato che non tratta i propri cittadini in modo eguale ed immagina di risolvere le cose con l’improbabile “reddito di cittadinanza” per il quale (e non per gli investimenti) si chiede di sforare i vincoli di bilancio;
5)sebbene la condizione di insularitá e le misure per farvi fronte (fiscalità di sviluppo, perequazione infrastrutturale, continuità territoriale) non trovino più un ancoraggio nell’art. 119 della Costituzione, ma solo negli artt. 174 e 175 del Trattato sul funzionamento dell’UE, lo Stato é comunque tenuto a realizzare gli obiettivi di coesione economico-sociale e territoriale.
La politica, e sopratutto il Governo Conte-Di Maio-Salvini appena insediato, assumano invece l’impegno di invertire la tendenza. Il divario nord-sud del Paese, infatti, é ormai intollerabile e la disperazione di milioni di cittadini meridionali dei quali si pregiudicano i diritti fondamentali (salute, istruzione, mobilità) non può essere risolta con il fantomatico reddito di cittadinanza.
Mentre è preoccupante che nel programma di governo la questione sia considerata in termini marginali e relegata ad un generico assistenzialismo, senza adeguato riconoscimento della rilevanza di coesione, investimenti e condizione di insularità.
Nel 2066 (dati SVIMEZ), il Mezzogiorno, dopo decenni di emigrazione giovanile, impoverimento, denatalità ed invecchiamento, passerà da 20 a 15 milioni di abitanti e l’età media salirà a 52 anni (quasi 10 in più di quella attuale). Un’area condannata alla marginalità, inattrattiva anche per l’immigrazione sregolata che ci affligge.
I siciliani percepiscono la più bassa spesa pubblica consolidata (Stato, Regione, provincia, Comune, – 16%. della media italiana). Le risorse europee non raggiungono gli obiettivi di sviluppo perché prive di addizionalità rispetto alle esigue risorse statali per la perequazione infrastrutturale e questo anche perché vanificate dal drammatico drenaggio di vita dei nostri figli (lasciano la Sicilia in 25.000 l’anno determinando, oltre a sorde lacerazioni affettive, una perdita di valore per 5 miliardi€).
Come precisato in sede di confronto parlamentare sul DEF nel periodo 2012-2018 il contributo alla finanza pubblica corrisposto dalla Sicilia ammonta, se contempliamo anche il versamento sugli split payments solo per il 2018, a più di 8,5 miliardi€. Un prelievo forzoso inaccettabile che, al netto di spese incomprimibili, toglie linfa vitale ad economie già al collasso.
Solo misure per la crescita resiliente, inclusiva e sostenibile, che puntino sul Sud ci può far uscire dal baratro nel quale siamo caduti per alcune dissennate politiche recessive di matrice europea, ma anche per la perdita di competitività e la dimensione del debito pubblico che affliggono la nostra economia da decenni.
Se occorre reagire sul piano istituzionale, in termini responsabili e con “carte e conti in regola”, reclamando l’attuazione dell’autonomia finanziaria disegnata dallo Statuto, di fronte a questa drammatica desertificazione dobbiamo pretendere un programma straordinario di investimenti per il rilancio del sud.
Altro che immaginifiche elargizioni del programma “carioca”che rubano dignità ai giovani e precludono ogni possibilità di sviluppo al Sud. Infatti, come sostiene un economista del peso di Francesco Giavazzi, é tecnicamente provato che, anche dall’esperienza sud-americana, “l’idea di redistribuire la ricchezza senza averla prima creata è una follia che impoverisce i popoli”( http://www.huffingtonpost.it/2018/06/03/il-progetto-lega-m5s-puo-portare-al-disastro-redistribuire-ricchezza-senza-crearla-e-follia-che-impoverisce-i-popoli_a_23449729/ )
Un piano strategico di sviluppo per il Mezzogiorno e le Isole, quindi, con risorse e misure adeguate ad avviare il superamento del divario, sul quale le risorse europee potranno svolgere la propria funzione aggiuntiva così come sostenuto correttamente da Juncker, almeno questa volta davvero ”incompreso”.