di Gaetano Armao
Vicepresidente ed Assessore per l’economia della Regione siciliana
Membro del Comitato europeo delle Regioni
L’Europa è dinanzi alla crisi più grave, ma anche alla più grande opportunità dalla sua fondazione.
Dagli effetti determinati dalla pandemia del COVID-19 può emergere un’Europa più egoista e più frammentata, e le ultime controverse vicende evidenziano alcune preoccupanti tendenze in tal senso, oppure un’Unione più forte e più simile a quell’Europa dei popoli, naturale evoluzione del progetto originario scaturito dalle idee dei fondatori.
Le drammatiche condizioni nelle quali riapriranno le attività economiche e sociali, dopo la paralisi determinata dal diffondersi della pandemia, impongono di ripensare la politica economica europea e di considerare le necessarie, urgenti e straordinarie misure da prendere non come deroghe ad un modello ormai obsoleto che va definitivamente archiviato ma come profondo mutamento di rotta.
Le idee che hanno guidato la politica economica europea (politiche di austerità, “fiscal compact”, patto di stabilità etc.), già forzate e contorte, sono ormai divenute incompatibili con i bisogni e le ansie dei cittadini europei che chiedono un’Europa solidale e capace di ricostruire un futuro di coesione e crescita.
La Commissione Europea ha elaborato una serie di iniziative per contrastare gli effetti del COVID-19 (“Coordinated economic response to the COVID-19 Outbreak”), ed oltre ad allargare le maglie sugli aiuti di stato (comunicazione n. 1863, “quadro temporaneo sugli Aiuti di Stato, per consentire agli Stati membri di sostenere maggiormente l’economia durante l’epidemia di COVID-19”), ha proposto la rimodulazione la spesa dei fondi Ue, adesso approvata dal Parlamento europeo nel contesto di un’ampia iniziativa (“Coronavirus response investment initiative”).
A queste misure, si aggiungono quelle intraprese dalla Banca europea degli investimenti, con il programma di acquisto titoli per far fronte all’emergenza pandemia (“Pandemic Emergency Purchase Programme“), mediante il quale gli acquisti dei titoli di Stato e privato saranno operati in misura «necessaria e proporzionata» allo scopo di raggiungere gli «obiettivi del mandato»: raggiungimento di una crescita dei prezzi vicina ma inferiore al 2% annuo e la stabilità del sistema finanziario dell’eurozona nel suo complesso, la disponibilità di credito per l’economia reale e in ultima analisi la difesa dell’euro.
Ma é ancora troppo poco.
La corretta sospensione del Patto di stabilità e dei rigorismi di bilancio deve condurre alla loro definitiva revisione ed il “whatever it takes” deve divenire, per ogni istituzione, il modello di governo della ripresa e del rilancio dell’economia europea, assicurando credibilità al progetto di Unione.
Occorre completare l’unione fiscale e quella bancaria, va attuato lo “Strumento di bilancio per la convergenza e la competitività”, e deve ripensarsi del tutto la struttura e le modalità di funzionamento del “Fondo salva-Stati” (Mes). Come parimenti è ineludibile, a questo punto, l’adozione della scelta dell’emissione dei “bond europei per la ripresa” (European Recovery bond) ed in tal senso l’Europa deve dimostrare di restare fedele ai suoi fondamenti superando egoismi ed anacronistici rigorismi.
L’Unione Europea potrà ritrovare slancio ed offrire soluzioni solo ritornando ai valori iniziali, al progetto che l’ha resa l’innovazione istituzionale più rilevante in un Continente dilaniato da guerre e devastazioni. L’Europa dei diritti e della democrazia non può essere uguale a quella che oggi tarda persino a trovare la convergenza per darsi un bilancio comune superando le regole rigoristiche che hanno drammaticamente aumentato i divari economico-sociali al suo interno e ne hanno indebolito, se non pregiudicato, la competitività internazionale.
Dobbiamo preparare e disegnare la ripresa ritrovando le ragioni di un’Europa dei popoli, dei loro territori e delle loro culture e non dei governi e delle burocrazie, e dobbiamo quindi assumerci la responsabilità e il coraggio di superare in modo definitivo un’Unione incentrata sugli Stati, sui loro diktat ed i loro veti.
La conferenza sul “Futuro dell’Europa”, sopratutto adesso, dopo questa drammatica crisi sanitaria, ma sopratutto economico-sociale, deve divenire un’occasione straordinaria per ridisegnare dalle fondamenta questo edificio che, eliminate le superfetazioni, va riportato all’originaria funzione aggregante con l’obiettivo di assicurare pace e progresso.
Come al termine della guerra mondiale è sorta la concreta esigenza della ricostruzione e dell’integrazione dell’Europa, oggi dobbiamo porre le basi per un nuovo destino, disegnato dalla forza unificatrice dell’idea europea, a partire dalle Regioni e dalle autonomie locali.
E’ il momento di riconsiderare le regole di funzionamento dell’Unione Europea ed in questo un ruolo propulsivo deve svolgere il Comitato delle Regioni che raccoglie le attese e le spinte dei cittadini europei e dei loro territori, in sinergia con il Parlamento europeo.
L’Unione Europea e i governi, e tra gli economisti italiani molti lo sostengono, devono scegliere con coraggio e determinazione un nuovo percorso arrivando a concordare che:
a) il pareggio di bilancio valga solo per le spese correnti, liberando quelle per investimenti;
b) si varino gli eurobond senza condizionalità;
c) la politica fiscale sia utilizzata in funzione anticongiunturale, anche a costo di aumentare il deficit pubblico;
d) sia archiviato un modello di sorveglianza sui bilanci basati su parametri inaffidabili e persino dannosi come il Pil potenziale e l’output gap;
e) vengano consolidate e rafforzate le scelte operate in materia di aiuti di stato per sostenere la ripresa.
Solo così l’Unione Europea potrà realizzare gli obiettivi di progresso e benessere e potrà progredire offrendo un futuro di pace ai nostri figli; in caso contrario si avvierà verso l’oblio offendo il fianco ai nazionalismi ed ai sovranismi alimentati da schiere crescenti di cittadini europei delusi.
Il punto cruciale di questa riforma dei fondi strutturali europei indotta dalla crisi pandemica è che le risorse sono assegnate in prevalenza alle regioni del Mezzogiorno, com’è nella logica e nelle finalità della politica di coesione, mentre in questo momento l’emergenza sanitaria e quella socio-economica dispiegano i propri drammatici effetti su gran parte del territorio nazionale.
Le risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), le risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE) ed i fondi destinati all’agricoltura ed alla pesca, oltre che quelle di programmi complementari e del Fondo sviluppo e coesione, pur in questa tremenda congiuntura sanitaria, sociale ed economica debbono mantenere la loro allocazione regionale e la funzione addizionale rispetto a misure straordinarie che lo Stato è chiamato a finanziare con la fiscalità generale, spingendo auspicabilmente il finanziamento in deficit sino a 100 miliardi di euro.
Occorre scongiurare quel che è avvenuto sino ad adesso e che stessa Commissione Europea, attraverso il direttore della DG, dott. Lemaitre, in ottobre scorso ha contestato formalmente al Governo Conte.
I fondi europei destinati al Sud, in spregio alle previsioni dei Regolamenti europei, sostituiscono l’intervento ordinario dello Stato, in violazione del ‘Principio di addizionalità’ sancito dai regolamenti Ue, in base al quale i fondi europei debbono addizionarsi e non aggiungersi agli interventi ordinari degli Stati per realizzare il superamento del divario, ancora molto grave, che spacca il Paese.
Occorre scongiurare che si replichi il “paradigma delle ferrovie”: al nord (come per l’alta velocità) si realizzano le infrastrutture ed acquistano i mezzi con la fiscalità generale (di tutti i contribuenti) ed in Sicilia, come nel Sud, in gran parte con le risorse europee.
La riprogrammazione dei fondi europei e di coesione deve adesso contrastare gli effetti economici della pandemia e, nel contempo, assicurare l’addizionalità ed in nessun modo sostituire l’intervento che va assicurato dallo Stato su tutto il territorio nazionale.
Il Governo regionale ha voluto precisare al Ministro Provenzano da un lato che la riprogrammazione dei fondi europei e di coesione se non può destinare, evidentemente, iniziative al di fuori dei territori ai quali sono state assegnate. Ed in questo vanno condivise le reazioni del Presidente dei giovani imprenditori, La Rocca, in tal senso.
Ma il Governo Conte deve pure chiarire che nei territori meridionali, le risorse europee scaturenti dalla riprogrammazione si aggiungeranno agli interventi statali di contrasto agli effetti economici della pandemia (addizionalità) per rafforzare la spinte nelle aree economicamente e socialmente più deboli, evitando alcuna perniciosa sostituzione.
Regioni, già attraversate da una drammatica emigrazione “di ritorno” di decine di migliaia di operai e studenti e che erano in recessione già prima dell’irrompere della pandemia, e che vivranno, al termine delle misure sanitarie, mesi, se non anni, durissimi prima di incrociare la ripresa.
È indubitabile che gli effetti della crisi economica del sud ha ed avrà effetti più pervasivi e durevoli, proprio per l’intrinseca debolezza del tessuto socio-economico meridionale, sicché occorrerà adottare non solo misure per la ripresa di sostegno alle imprese, agevolando l’accesso al credito per rafforzare il capitale circolante e la liquidità, ma sopratutto iniziative di sostegno ai consumi se non di vera e propria assistenza alimentare.
In conclusione nella riprogrammazione dei fondi europei e di coesione per far fronte agli effetti dell’emergenza pandemica dovranno rispettare l’allocazione delle attuali dotazioni finanziarie e la loro destinazione regionale ed il principio di addizionalità delle risorse europee e di coesione rispetto agli interventi ordinarie e straordinari finanziati con la fiscalità generale.
Palermo, 29 marzo 2020