Gaetano Armao
Docente di diritto amministrativo-Università di Palermo e Presidente di giuristi siciliani per il NO
In questi ultimi giorni di confronto sul referendum riguardante la revisione costituzionale imperversa sui media la questione della presunta incompatibilità dei consiglieri-senatori delle Regioni a statuto speciale.
In particolare alcuni sostenitori del No ne postulano una portata dirimente.
Personalmente, pur essendo un convinto propugnatore di questo orientamento per il referendum del 4 dicembre, ritengo tuttavia che ogni argomento sia buono per sostenere le ragioni, ben più ampie e variegate, di contrasto ad una revisione costituzionale concepita male e varata peggio dalla frammentaria maggioranza che sostiene il Governo e che ha effetti nefasti anche per la Sicilia.
Occorre, infatti, concentrarsi sulle vere ragioni del No, anziché cedere alla facile propaganda, come sovente capita a coloro che sostegno le tesi opposte (il riferimento é a talune campagne mediatiche basate su slogan che giungono sino ai giochi on-line).
Ma andiamo al merito della questione che sarebbe determinata dal testo della revisione costituzionale con riguardo alla compatibilità tra la carica di deputato/consigliere regionale e quella, per coloro tra questi che sarebbero eletti dal Parlamento/Consiglio regionale (in Sicilia l’ARS).
La legge di revisione costituzionale, da un lato, mira a cancellare quanto attualmente previsto dall’art. 122 Cost. sull’incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di parlamentare, dall’altro lascia in vita le previsioni di incompatibilità tra deputato/consigliere regionale e componente del Parlamento nazionale sancito dagli statuti speciali, adottati con legge costituzionale (art. 3 Regione siciliana; art. 17 Sardegna; art. 28 Trentino-Alto Adige; art. 17 Val d’Aosta; art. 15 Friuli-Venezia Giulia).
Sicché, nel caso di esito positivo del referendum confermativo, si assisterebbe al paradosso che per i deputati/consiglieri delle regioni a statuto speciale non si potrebbe legittimamente addivenire alla elezione a senatore, senza determinare l’incompatibilità sancita dallo statuto, ma se gli stessi rinunciassero alla prima carica perderebbero, parimenti, la legittimazione a rivestire la carica senatoriale, rendendo inapplicabile il nuovo sistema.
Si tratta di un sicuro guazzabuglio sottolineato da una suggestiva discussione, non unico invero, ma che sembra certamente enfatizzato e non pare possa considerarsi dirimente, come altri argomenti, per contrastare la confusionaria revisione costituzionale.
È sostenibile infatti, ed in questo solco si muoverebbe certamente la Corte costituzionale laddove investita della questione (come ha già fatto in passato, da ultimo con le sentenze sul sistema di controllo di legittimità costituzionale delle leggi del 2014, ma già nel 1957 con il “congelamento” dell’Alta Corte), che una così ampia revisione costituzionale, se confortata dall’espressione della sovranità popolare in senso confermativo, determinerebbe l’implicita modifica delle previsioni statutarie di incompatibilità ricordate limitatamente ai deputati/consiglieri delle Regioni speciali eletti senatori.
Peraltro, l’art. 39, XIII comma della legge di revisione costituzionale, recita: “le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome.”
Le intese per la revisione statutaria devono quindi intendersi limitate alla parte della legge costituzionale che riguarda le competenze legislative.
È chiaro, conseguentemente, che l’intesa per la modifica degli statuti di autonomia non potrà invece riguardare le altre parti (tra le quali l’art. 56 che introduce la possibilità che i deputati/consiglieri regionali possano anche essere senatori) che quindi si applicano direttamente anche a questi ultimi, determinandone l’automatico adeguamento
Sicché, archiviate le pseudo-questioni che sviano dal merito della revisione costituzionale, ci si concentri sulle vere ragioni per le quali i siciliani dovrebbero ad essa opporsi a partire dall’asimmetria della rappresentanza (un siciliano conterebbe meno di un terzo di un trentino nel nuovo Senato a causa del minor numero di senatori attributi in proporzione alla Sicilia), per passare allo svuotamento dell’autonomia finanziaria ed alla compressione della potestà legislativa regionale svilita dalla clausola di supremazia (denominata per la sua inusitata vastità “clausola vampiro“) e dal massiccio spostamento di materie alla competenza legislativa esclusiva dello Stato che anche la modifica degli statuti speciali non potrà che recepire.