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La legge di stabilità regionale alla prova del controllo di costituzionalità

di Gaetano Armao

La legge di stabilità approvata dall’Assemblea è all’esame del Governo
statale affinché se ne valutino i profili di legittimità costituzionale. Il
compito che svolgeva il Commissario dello Stato, in base allo Statuto
regionale, adesso è svolto dal Governo come per tutte le altre Regioni.
Molte delle norme che campeggiano sulla Gazzetta ufficiale del 15 maggio appaiono
palesemente contrarie a Statuto, Costituzione, Trattati europei: con il
Commissario dello Stato non avrebbero visto la luce. Vedremo se il Governo
centrale, che dichiara che il Paese è tornato ad essere la “patria della
legalità” ma contemporaneamente difende la candidatura in Campania di De Luca e
nomina anche “amici e parenti” nei cda delle partecipate pubbliche, saprà
rispettare le regole del diritto.
Si tratta comunque di una legge di stabilità definita dagli stessi rappresentanti delle imprese
(quelli veri per intendersi) del tutto priva di misure per gli investimenti, il lavoro, la crescita,
in molti aspetti clientelare, con marginali effetti di contenimento della spesa,
che offre qualche obolo alla retorica, ma non introduce le riforme necessarie.
E questo mentre i dati appena forniti dal Governatore della Banca d’Italia
nelle ultime “considerazioni finali” (Roma, 26.5.2015) – a conferma delle
analisi ormai tutte convergenti – dimostrano che “continua ad ampliarsi il
divario di crescita tra Mezzogiorno e Centro Nord, in quanto nel “Centro Nord è
più elevata la presenza di imprese esportatrici, che sono in grado di trarre
vantaggio dall’incremento della domanda estera”. Se il numero di occupati è
aumentato al Centro Nord (0,8 per cento), mentre si è ulteriormente ridotto nel
Mezzogiorno (-0,8) la disoccupazione è cresciuta di 1,0 punti percentuali nel
Mezzogiorno, contro lo 0,4 al Centro Nord, salendo rispettivamente al 20,7 e al
9,4 per cento.
Il divario – sintetizza la Banca d’Italia – ha così raggiunto
“il valore più elevato dell’ultimo decennio”. E nessuna contromisura viene
adottata dallo Stato, nè pretesa del Governo regionale che svende
quotidianamente l’autonomia sul piatto della sua sopravvivenza politica e
finanziaria.
Per la Sicilia i dati economici peggiorano progressivamente, la
perdita di competitività ha raggiunto punte estreme, come disagi, crolli,
pericoli, incidenti sulle vie di comunicazione – effetto dell’assenza di
investimenti – che rendono ancor più onerosi e disagevoli i trasporti.
E per tutta risposta a Palazzo dei Normanni si adotta una legge finanziaria senza
futuro, votata dall’agonizzante platea di forze politiche che gestisce i
destini della Sicilia nell’oblio dell’autonomia. Del resto, il presidente ormai
è divenuto più famoso per gli annunci che per i fatti; l’assessore all’economia
– emissario del Governo antimeridionale di Roma – ha reso pressocché
improponibile qualsiasi negoziato con lo Stato, e una pletora di deputati
soffre la “paura” di perdere lo stipendio e di fatto ha “miracolosamente”
salvato la maggioranza in occasione dell’approvazione della Legge di stabilità.
Insomma, non potrebbe esserci situazione peggiore.
Non ci sono più ragioni per continuare quest’agonia. Ed allora gli onorevoli deputati
pongano mano entro l’estate, se ne sono capaci, alla riforma elettorale per garantire la
governabilità per la prossima legislatura e poi tutti a casa, restituendo ai
siciliani il diritto di costruire il proprio futuro.

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